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Agroalimentare , falsi miti e nuove verità: IPSOS e TUTTO FOOD mett ono a confronto o peratori e consumatori

In un settore come l’agroalimentare, sempre al centro della scena in Italia e non solo, un sano confronto tra consumatori e operatori è importante per allineare aspettative dei primi con le intenzioni dei secondi. Un passaggio ancora più fondamentale per una manifestazione di riferimento nel proprio settore, come TUTTOFOOD, a fieramilano da lunedì 8 a giovedì 11 maggio prossimi. Che ha commissionato a IPSOS una ricerca per comprendere fino a che punto i trend individuati dagli operatori corrispondono ai desiderata dei consumatori, in modo da valorizzare al massimo il momento espositivo per sviluppare un’offerta più efficace. IPSOS ha sottoposto le stesse domande a un campione rappresentativo della popolazione italiana tra i 18 e i 65 anni e a un campione di espositori e buyer di TUTTOFOOD. È stato così possibile comparare le opinioni dei due target sui prossimi cinque anni del settore agroalimentare. Il quadro che emerge è di sostanziale accordo. Cresce il biologico, nelle carni spiccano i salumi Il biologico continuerà il suo boom. Nella prima metà del 2016 ha fatto registrare un tasso di crescita del 20% a valore, e il suo peso nella nostra spesa continua a crescere, passando in un solo anno dal 2,5% al 3,1% del valore del carrello. Un trend che sembra inarrestabile: il 39% dei consumatori indica proprio questa categoria come quella che aumenterà maggiormente il suo peso nei nostri carrelli nei prossimi 5 anni. Forte crescita in vista anche per i surgelati pronti al consumo, indicati dal 35% dei consumatori, e i surgelati pronti da cuocere (28%): il 51% dei consumatori indica almeno uno dei due, mettendo quindi i surgelati al centro del prossimo futuro. In crescita anche pasta (23%), i prodotti a base di pesce (22%) e i piatti pronti/sughi pronti (21%). Gli operatori concordano con queste ipotesi sul futuro, e vedono un futuro particolarmente importante per i surgelati pronti al consumo. In calo troviamo soprattutto i prodotti a base di carne, indicati dal 35% dei consumatori, che sembrano quindi continuare il trend decrescente che li caratterizza da una decina d’anni a questa parte; in questo quadro è però bene evidenziare come dei prodotti a maggior contenuto di servizio, come i salumi affettati, hanno mostrato un trend di vendite a valore positivo nell’ultimo anno. Visti in possibile calo dai consumatori sono anche olii e grassi vegetali (24%), bevande dolci ed energy drink (21%), alcoolici (18%) e latticini o derivati del latte (16%), tutte evidenze che, insieme ai prodotti visti in aumento, delineano un carrello della spesa orientato a salute e benessere, almeno nelle intenzioni. Salute e benessere, ma anche servizio e prezzo Il paradigma di salute e benessere vale per tutti, anche per coloro che, per scelta o per obbligo, seguono delle diete specifiche, eliminando alcuni ingredienti. Proseguono infatti il loro trend positivo le vendite a valore dei prodotti senza glutine (+20,6%) e dei prodotti senza lattosio (+7,1%). I consumatori pensano che la vera innovazione alimentare sia nei prodotti per intolleranze e diete specifiche (38%), in forte crescita rispetto al passato. Ritroviamo l’innovazione anche con l’attenzione alle radici locali (indicata dal 28% dei consumatori), l’attenzione alla sostenibilità della filiera (28%), e l’utilizzo di etichette più esaustive (26%). Gli operatori concordano su queste evidenze, ma rispetto ai consumatori pongono maggiore enfasi sui nuovi formati dei prodotti come innovativi. Questa evidenza, unita alla maggiore attenzione per i surgelati pronti al consumo, evidenzia come gli operatori siano coscienti dell’importanza della “servitizzazione” nel settore alimentare: uno studio della dr.ssa Guia Beatrice Pirotti (SDA Bocconi – Claudio Demattè Research Division) ha evidenziato come le aziende alimentari maggiormente orientate al servizio abbiano ottenuto migliori risultati economici negli ultimi 10 anni. Negli acquisti alimentari, l’attenzione nei prossimi cinque anni sarà sempre concentrata principalmente su due aspetti: prezzo, indicato dal 56% dei consumatori, e qualità, indicato dal 50%, con un consumatore su quattro che le indica entrambe. Molto importanti per i consumatori saranno anche le materie prime utilizzate (44%) e la fiducia verso il paese di provenienza (44%). Temi più direttamente legati alla sostenibilità non sono ancora driver importanti nelle scelte alimentari, anche se il 34% dei consumatori sostiene che l’attenzione alla sostenibilità della filiera aiuti a determinare la percezione di qualità dei prodotti. Il driver principale nella percezione di qualità, nei prossimi cinque anni, sarà la regionalità, indicata dal 46% dei consumatori, seguita dalla qualità intrinseca delle materie prime (35%), la sostenibilità, la qualità della preparazione (32%), che però non possono fare a meno di un’etichettatura dettagliata (25%). Gli operatori, sempre d’accordo con i consumatori sul quadro generale, pongono più attenzione proprio al tema della sostenibilità, che sarà sempre più un elemento di distinzione. Il tema della regionalità e delle eccellenze locali è cruciale per un paese come l’Italia, che ha nel Made in Italy uno dei suoi punti di forza. L’export agroalimentare nel 2016 ha raggiunto i 38,4mld di euro, ma questo valore è probabilmente limitato dal fenomeno dell’Italian sounding, che produce un giro d’affari da 54mld di euro. Il problema è molto chiaro sia a operatori che consumatori: il 61%  di questi ultimi pensa che l’italian sounding sia molto diffuso e rappresenti un grave problema per i prodotti italiani, il 10% che potrebbe diventarlo nel prossimo futuro. Confondersi sull’origine di un prodotto guardando il packaging è piuttosto facile, o almeno è quello che pensa il 79% dei consumatori, e, in media, al 32% dei consumatori esteri è capitato almeno qualche volta di comprare un prodotto che si è rivelato non essere italiano, con dei picchi in India e negli Emirati Arabi Uniti.

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