Padre Benedetto Nivakoff, priore del Monastero di Norcia
Com’è iniziata la sua storia nel monastero? Io sono americano, di New York. Lì ho frequentato l’università e ho studiato storia medievale, dopodiché sono entrato direttamente nel monastero di Norcia all’età di 22 anni. Come mai ha scelto proprio Norcia? All’università studiavo italiano e la mia professoressa mi suggerì di venire in Italia. Così partii per Roma dove conobbi il fondatore della mia comunità. Fu lui a suggerirmi di pensare alla vita monastica. Nel 2000 la mia comunità fu invitata a riprendere qui la vita monastica che era stata interrotta nel 1810 da Napoleone. Il monastero è molto antico perché sorge sulla casa di San Benedetto e Santa Scolastica che nacquero qui nel 480 dopo Cristo. Adesso la vostra comunità com’è composta? Siamo in 15 e la maggior parte viene dagli Stati Uniti. Abbiamo anche un brasiliano, un canadese, un inglese e un indonesiano. Qual è l’età media? Circa 29 anni.
Veniamo al terremoto. Dove eravate al momento della prima grande scossa del 24 agosto scorso? Erano le 03:40 di notte e noi eravamo in piedi per la prima preghiera mattutina che facciamo sempre alle 03:30. Quindi eravamo in chiesa e siamo usciti di corsa. Ma quella è stata una scossa leggera rispetto a quella del 30 ottobre. Noi infatti lo chiamiamo il terremoto “amico” perché ci ha fatto vegliare. Dove eravate invece durante la scossa di ottobre, quella più devastante? Quel giorno eravamo già nelle casette di legno costruite dopo il primo terremoto e dove viviamo ancora a San Benedetto in Monte, su un’altura a circa due chilometri da Norcia. Da lì abbiamo visto alzarsi una nuvola di fumo sulla città, come fosse esplosa una bomba, e abbiamo visto il nostro monastero crollare. Cosa avete fatto dopo? Siamo corsi tutti in città per vedere se c’erano persone da aiutare. Cosa avete provato nel vedere crollare il monastero? Il primo pensiero è sempre la sopravvivenza, quindi il desiderio di verificare che non ci fosse nessun ferito. Poi è arrivata la grande tristezza di vedere la propria casa “a terra”. Forse una cosa scioccante quanto vedere un morto. In qualche modo addirittura più scioccante. La morte è prevedibile, ce l’aspettiamo, mentre che un edificio di oltre mille anni crolli è una cosa più inaspettata. Dove avete vissuto per tutto quest’anno? Per tre mesi siamo stati nelle tende. Poi con l’arrivo dell’inverno abbiamo costruito delle casette di legno molto semplici. A novembre è iniziata la costruzione del nuovo monastero che sarà in legno, intonacato e antisismico. Per ora dormiamo ancora nelle casette provvisorie ma spero che potremo trasferirci a breve. Il progetto è ampio e lo allargheremo man mano, negli anni. Cosa ha significato per voi e per i nursini non avere più un luogo fisico dove pregare? È una situazione molto destabilizzante. Non si è mai pronti a una cosa del genere. Sapere che la terra sotto di te non è sicura ti lascia molto disorientato. Però per noi monaci il pane quotidiano sono la conversione e la preghiera che si possono praticare ovunque. Il metodo monastico che ha cristianizzato tutta l’Europa era arrivare in un posto e stare fermo lì. Quindi anche per noi la cosa importante era poter rimanere qui a Norcia e trovare un posto sicuro. Ora stiamo costruendo il nuovo monastero e qui speriamo di crescere. Chi vi ha aiutato in questo progetto di ricostruzione? Dal primo terremoto in poi l’aiuto è venuto da tutto il mondo: dall’America, dalla Cina, da Taiwan, dall’Australia. Sia da piccoli e grandi gruppi, sia da singoli individui. In particolare è nata una bella collaborazione tra noi e birra Leffe. Sono stati loro a venire da noi e offrirci il loro sostegno. Volevano dare una mano alla zona e così hanno pensato che aiutare il monastero poteva essere il modo più idoneo per aiutare la comunità. Un pensiero legato alle loro radici monastiche (birra Leffe fu inventata dai monaci belgi nel Tredicesimo secolo, ndr) ma anche a una sensibilità cristiana lungimirante e molto europea. Capire che aiutando un monastero aiuti tutto un popolo dimostra una visione storica molto corretta perché l’Europa è cresciuta così nei secoli.
Come vi stanno aiutando? Hanno realizzato un’edizione limitata della loro birra, la Leffepernorcia (100mila bottiglie sono già disponibili nei supermercati di tutta Italia, ndr) i cui proventi saranno interamente destinati alla costruzione della nostra cappella. Abbiamo pensato in particolare alla cappella perché è il luogo in cui il monastero si apre al mondo e dove la gente si avvicina a noi. A che punto siete della costruzione? Siamo già avanti coi lavori ma non è ancora finita. Per esempio manca ancora parte del tetto. Il 4 giugno scorso nel giorno di Pentecoste abbiamo celebrato la prima messa ma l’inaugurazione ufficiale dovrebbe essere il prossimo 17 settembre. Anche voi producete una birra artigianale. È un’attività che siete riusciti a portare avanti? Sì, produciamo la birra Nursia che è possibile acquistare da noi ogni sabato dalle 09:00 alle 12:30. Anche questi incassi vanno a favore della ricostruzione e dei terremotati. Quanto è importante ricevere e, insieme, offrire una mano tesa in momenti così? Molto. E la cosa bella è che anche un’iniziativa modesta può incoraggiare tutti e dimostrare che con poco si può fare molta strada. In questo caso anche piacevolmente, con una birra. Sì, bere la birra è sempre un piacere e adesso ancor più meritato!